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RUSH. L’epopea sonora di un trio leggendario. Parte tre: 1990-2020

Author: Anders Ge.

Nati nel cuore degli anni Sessanta a Toronto, i Rush hanno trasformato il rock progressivo con la loro straordinaria miscela di tecnica strumentale, liriche filosofiche e spirito indipendente. Dalla potenza hard rock di Rush” all’audacia elettronica di Signals”, fino all’epilogo visionario di Clockwork Angels”, il trio ha ridefinito gli orizzonti sonori di un’intera generazione. Nel ripercorrere la loro evoluzione, si scopre non solo una carriera, ma un percorso di innovazione artistica e integrità senza compromessi.

Rush Logo (1973 White)


Continua dalla Seconda Parte

La svolta rock e il ritorno alle radici (1990-1998)

Presto (17 novembre 1989), tredicesimo album in studio dei Rush, segna una nuova fase per la band canadese, non solo per l’evoluzione stilistica ma anche per il cambiamento di etichetta: è il primo disco distribuito a livello internazionale da Atlantic Records, dopo l’addio a Mercury (in Canada la distribuzione resta invece ad Anthem Records). Dopo la conclusione del tour di Hold Your Fire nel 1988, i tre membri decidono di prendersi una pausa di sei mesi prima di iniziare a lavorare a nuovo materiale. Il risultato è un disco che segna un netto ritorno a un sound più chitarristico, con un uso ridotto dei sintetizzatori e un rinnovato ruolo centrale per la chitarra di Alex Lifeson nelle strutture musicali. Presto ottiene un buon successo commerciale, raggiungendo il settimo posto in Canada e il sedicesimo negli Stati Uniti. I singoli estratti dall’album sono Show Don’t Tell, The Pass e Superconductor, con il primo che tocca la vetta della classifica U.S. Album Rock Tracks di Billboard. Il disco ottiene la certificazione d’oro dalla RIAA per aver superato le 500.000 copie vendute. Il disco nasce come reazione alla tecnologia eccessiva, puntando su arrangiamenti più organici e un suono vocale più centrato. Diversamente dai precedenti album, Presto adotta una struttura lirica libera, con brani indipendenti e tematiche più emotive. Peart parla di una risposta alla vita, un invito a sentire davvero ciò che si vive. Il titolo, inizialmente pensato per il precedente live, A Show of Hands, fu adottato dopo la nascita del brano omonimo.

Rush (1990)I RUSH nel 1990 - da sinistra: Geddy Lee, Neil Peart e Alex Lifeson

Roll the Bones: la musica evolve e torna (quasi) alle origini
Al termine del tour di Presto, nel giugno del 1990, i Rush si concedono una pausa, ma l’energia generata dalla tournée riaccende il desiderio di tornare subito a scrivere musica. Invece di prendersi un lungo periodo di riposo, decidono di abbreviare la pausa e si ritirano nuovamente nel verde dell’Ontario, al Chalet Studios, per iniziare a lavorare al nuovo album. Come da consuetudine, Lee e Lifeson si occupano della composizione musicale, mentre Neil Peart lavora (in solitaria) ai testi, per poi ritrovarsi la sera e confrontarsi sulle idee emerse durante la giornata. I Rush si riaffacciano sulla scena discografica l’anno successivo, con l’abum Roll the Bones (3 settembre 1991).
L’impronta sonora del disco prosegue nella direzione già intrapresa con il precedente: una netta riduzione dell’uso dei sintetizzatori e un ritorno alla chitarra come cuore pulsante degli arrangiamenti. Le atmosfere sintetiche degli anni Ottanta vengono lasciate alle spalle. I sintetizzatori non spariscono del tutto, ma vengono trattati come strumenti d’arricchimento, usati con parsimonia per donare colore, non per dirigere la scrittura. Lee e Lifeson si muovono su strutture ritmiche basilari, concepite per ispirare le linee melodiche e armoniche che caratterizzano l’album. Il risultato è una scrittura musicale compatta e immediata, con arrangiamenti mantenuti quasi intatti nella fase di registrazione in studio. Musicalmente, Roll the Bones è il risultato di una maturazione progressiva: se Presto aveva posto le basi per un nuovo equilibrio tra immediatezza e profondità, qui il trio va oltre, esplorando territori ritmici inediti per la propria storia. Alex Lifeson, in particolare, manifesta il desiderio di cimentarsi con strutture funk, già accennate nel disco precedente, ma ora sviluppate con maggiore consapevolezza. Anche Geddy Lee persegue la volontà di costruire melodie vocali solide fin dall’inizio, attorno alle quali costruire l’impianto sonoro. Questo conferisce al disco una fluidità e una coesione notevoli, pur nella varietà dei brani. I suoni sono più asciutti, più caldi, più umani e la produzione non è più dominata da stratificazioni artificiali.
A livello lirico, si distingue per l’assenza di un vero e proprio concept narrativo, ma è attraversato da un filo conduttore ben riconoscibile: la casualità come forza che plasma e condiziona la vita. Neil Peart, come spesso accade, raccoglie appunti, frasi, spunti emersi nei due anni precedenti e li assembla per dare corpo a questa riflessione sul destino. Il brano Face Up (che è anche il primo testo scritto), contiene l’essenza del tema:

FACE UP — Or you can only back down
FACE UP — Hit the target, or you better hit the ground
FACE UP — There’s still time to turn the game around
FACE UP — Turn it up… Or turn that wild card down
Turn It Up

AFFRONTALO — O potrai solo arrenderti
AFFRONTALO — raggiungi l’obiettivo, o sarà meglio tornare giù
AFFRONTALO — c’è ancora tempo per ricominciare la partita
AFFRONTALO — Alza il tiro… O gira quel jolly a faccia in giù
Alza il tiro

L’immagine della wild card, il jolly da giocare o da lasciare, diventa metafora della vita moderna, delle scelte, dei rischi e degli imprevisti. Peart intesse una rete di riflessioni che affrontano il rapporto dell’individuo con l’incertezza e con l’impossibilità di controllare ogni variabile.
Roll the Bones è una tappa importante nel percorso evolutivo dei Rush, un disco che non solo segna una ritrovata vena compositiva, ma anche un equilibrio maturo tra passato e presente, tra la precisione tecnica che ha sempre contraddistinto il trio e una nuova immediatezza espressiva.
Il disco segna anche un ritorno alla ribalta commerciale, raggiungendo il terzo posto negli Stati Uniti, il decimo nel Regno Unito e l’undicesimo in patria. L’album vince un Juno Award per il miglior design e ottiene la certificazione di disco di platino dalla RIAA nell’agosto del 2001. Senza stravolgersi, ma sapendo reinventarsi, i Rush confermano ancora una volta la loro capacità di sfidare le regole senza mai abbandonare la propria identità. Con questo lavoro, il gruppo riesce a rimanere rilevante nei primi anni Novanta, in un panorama musicale che comincia a cambiare drasticamente con l’irrompere del grunge e dell’alternative rock, che mette in ombra molte formazioni storiche.

Counterparts (19 ottobre 1993), segna un deciso passo verso il ritorno a sonorità più ruvide, dirette e orientate al rock duro, se non al metal. Questo lavoro rappresenta un taglio netto con l’estetica elettronica degli anni Ottanta: le tastiere diventavano meno predominanti, le chitarre torna centrali e protagoniste, il suono complessivo si fa più asciutto, robusto e muscolare. Il titolo dell’album, fa riferimento a una riflessione sulle relazioni tra opposti: uomo e donna, spirito e materia, fragilità e forza. Anche la copertina provocatoria, che ritrae una vite sopra ad a un bullone, suggerisce un discorso sulla complementarità (senza per questo cadere nella volgarità). I testi affrontano temi delicati legati all’intimità e alla comunicazione, senza perdere l’eleganza intellettuale che ha sempre contraddistinto la penna di Neil Peart. L’approccio sonoro si fa più compatto, meno variegato ma più coerente. Gli arrangiamenti essenziali mettono in risalto la potenza esecutiva del trio.

Tre anni dopo, il gruppo pubblica Test for Echo (10 settembre 1996), che prosegue nel solco tracciato da Counterparts, ma introduce nuove sfumature. In particolare, Peart, dopo aver studiato con il celebre maestro jazz Freddie Gruber1, incorpora elementi di swing e jazz nella sua batteria, dimostrando una maturazione tecnica che sfocia in una nuova fluidità ritmica. Il disco affronta il ruolo crescente delle tecnologie digitali nella società contemporanea: la traccia Virtuality, ad esempio, anticipa tematiche legate a internet e alla virtualizzazione dell’esperienza umana, molto prima che esse diventassero comuni nella cultura di massa. In questa fase, la band abbandona anche l’abitudine di avere un gruppo spalla in tour, optando per spettacoli nei quali può gestire l’intero spazio scenico, offrendo esperienze immersive e articolate e la tournée di Test for Echo è infatti la prima senza alcun opening act.

La carriera del gruppo viene però bruscamente interrotta da due tragedie personali che colpiscono Neil Peart nel giro di pochi mesi: nell’agosto del 1997 perde la figlia Selena in un incidente d’auto e, nel giugno del 1998, la moglie Jackie muore di cancro. Peart, devastato, si ritira dalla musica e comunica ai suoi compagni di considerare la sua carriera conclusa.

Different Stages: un testamento in musica
Pubblicato nel 1998, il triplo Different Stages (10 novembre 1998) è il quarto album dal vivo pubblicato dai Rush, nato in un momento profondamente segnato dal dolore. I primi due dischi catturano l’energia del tour di Test for Echo del 1997, con registrazioni principalmente dal World Music Theatre di Tinley Park, Illinois, arricchite da brani provenienti da altre tappe e da alcune performance del tour di Counterparts del 1994. Il terzo disco, invece, offre un prezioso documento d’archivio tratto da un concerto del 1978 al leggendario Hammersmith Odeon di Londra, durante il tour di A Farewell to Kings (successivamente riproposto integralmente nell’edizione del 40° anniversario di A Farewell to Kings, pubblicata nel 2017). Con questo album dal vivo si chiude quella che viene identificata come la quarta fase evolutiva dei Rush, un periodo caratterizzato da un deciso ritorno a sonorità più dirette e robuste, radicate nel rock e nell’hard rock, arricchite da incursioni stilistiche nel funk e nelle trame dell’alternative.
Le prime edizioni contengono le riproduzioni in miniatura dei tour book di A Farewell to Kings e Test for Echo, mentre la pubblicazione giapponese include anche la bonus track Force Ten e i testi integrali delle canzoni.
La realizzazione dell’album è curata da Geddy Lee e dal produttore Paul Northfield, mentre Neil Peart, profondamente colpito dalla tragiche perdite non partecipa alla lavorazione. In quel periodo Peart dichiara ai compagni di considerarlo in pensione, facendo pensare che l’album sarebbe stato il comprensibile epilogo della carriera del gruppo.

Dedicato alla memoria di Jackie e Selena, Different Stages porta inciso nel booklet un verso emblematico, la prima strofa di Afterimage da Grace Under Pressure (1984):

Suddenly…
You were gone
From all the lives
You left your mark upon

Improvvisamente…
Sei sparito
Da tutte le vite
Su cui hai lasciato il segno

Segue un periodo di silenzio, ma anche di rinascita interiore: Peart intraprende un lungo viaggio in motocicletta attraverso il Nord America, che sarebbe poi diventato il cuore narrativo del suo libro Ghost Rider. Durante il viaggio, l’urgenza creativa torna a farsi sentire, e nel 2001, dopo essersi risposato, Peart dichiara di essere pronto a tornare in studio.

RushI RUSH - da sinistra: Neil Peart, Geddy Lee e Alex Lifeson

La rinascita verso la maturità finale (2002–2020)

Il risultato è Vapor Trails (14 maggio 2002), pubblicato dopo un processo di lavorazione molto lungo e accurato. L’album segna un ulteriore distacco dalle atmosfere precedenti: le tastiere sono quasi del tutto assenti, il suono è ruvido, fisico, quasi catartico. Il brano d’apertura, One Little Victory, è una dichiarazione d’intenti con riff serrati, batteria incalzante e un’energia quasi punk che racconta la resilienza del gruppo e il ritorno alla vita dopo la perdita.
Nel 2003, il trio celebra il ritorno alla dimensione live con il monumentale RUSH in Rio (21 ottobre 2003), registrato allo stadio Maracanã davanti a una folla oceanica. È un trionfo che mostra un gruppo ancora in grado di incendiare i palchi. Per i trent’anni di carriera, nel 2004, esce Feedback (29 giugno 2004), un EP omaggio alle origini musicali del trio, con cover di brani di The Who, Cream, Yardbirds, Neil Young, Eddie Cochram, Buffalo Springfield, Love e Robert Johnson, reinterpretati con affetto e intensità. Il tour celebrativo R30 sancisce un rinnovato successo e culmina nella pubblicazione di R30: 30th Anniversary World Tour (22 novembre 2005), DVD del concerto di Francoforte, una testimonianza dello straordinario stato di forma della band. Il cofanetto è pubblicato anche in edizione Deluxe che, oltre ai due DVD contiene gadget vari e, soprattutto, l’intero concerto in due CD, reperibili solo in questa versione.
Dopo l’euforia di R30, nel 2006 il gruppo torna in studio per lavorare su nuovo materiale. Con la collaborazione del produttore Nick Raskulinecz (Foo Fighter, Mastodon, Danko Jones, Danzing) e nel 2007 i RUSH pubblicano Snakes & Arrows (1° maggio 2007), un album che, pur mantenendo l’impatto energico di Vapor Trails, mostra un maggiore equilibrio tra aggressività e introspezione. I temi lirici riflettono una visione critica e spesso pessimista del mondo contemporaneo: Far Cry, The Way the Wind Blows e Faithless affrontano questioni legate al caos informativo, al dubbio esistenziale e alla fragilità della fede. L’album si distingue anche per la presenza di ben tre brani strumentali, tra cui spicca The Main Monkey Business, un’esibizione virtuosistica di tecnica e reciproca interazione (interplay). Alex Lifeson firma anche Hope, un breve ma intenso brano acustico per sola chitarra dal sapore vagamente country.
La tournée che segue è divisa in due fasi che coprono due anni e culminano nel 2008 con l’uscita di Snakes & Arrows Live (15 aprile 2008). È evidente che i RUSH, pur con decenni di carriera alle spalle, sono ancora capaci di sorprendere dal vivo come in studio.
L’anno seguente viene pubblicato il live The Grace Under Pressure Tour Live (11 agosto 2009), registrazione dal vivo al Maple Leaf Gardens di Toronto, loro città natale, che documenta il tour nordamericano dei Rush del 1984. Uscito in origine su VHS e Laserdisc con il titolo di Grace Under Pressure Tour 1984 è stato poi rimasterizzato in DVD per l’inclusione nel box set di 3 DVD Rush Replay X 3 (13 giugno 2006), che raccoglie tre distinti concerti filmati rispettivamente nel 1982 (Exit… Stage Left), nel 1985 (Grace Under Pressure Tour) e nel 1988 (A Show of Hands) e inserito in origine come bonus CD del cofanetto. Lo stesso anno, Lifeson dichiara che un nuovo album è in fase di progettazione, ma Neil Peart precisa che il gruppo avrebbe lavorato a singoli brani da portare in tour. Questo processo culmina nel 2012 con l’uscita di Clockwork Angels (8 giugno 2012), ventunesimo e ultimo album in studio, nonché primo vero concept-album della band. La narrazione segue le vicende di un giovane in una società dominata da un orologio onnipotente, mescolando suggestioni steampunk, distopia e avventura.

Rush (2012 on stage)I RUSH on stage nel 2012 - da sinistra: Alex Lifeson, Geddy Lee e Neil Peart

Musicalmente, l’album è ambizioso: composizioni complesse, ritmiche spigolose, sezioni orchestrali, ma anche grande cura per le melodie. Caravan, BU2B e la title track sono esempi di una band ancora ispirata e capace di dare ancora molto al proprio pubblico. Il disco debutta al secondo posto del Billboard 200, testimoniando l’attesa e la devozione del pubblico. La tournée Clockwork Angels Tour, che toccò Nord America e altri continenti, è impreziosita dalla presenza di un ensemble di archi dal vivo, come ulteriore prova della volontà di esplorare ancora (e sempre) nuove forme espressive.

Nel 2014, i RUSH sono insigniti dell’Ordine del Canada, un onore che raramente è stato assegnato a un gruppo musicale.
Ma il tempo comincia a presentare il conto. Nel 2015, Alex Lifeson rivela che la tournée R40, lanciata per celebrare i quarant’anni della formazione definitiva, sarebbe stata l’ultima di ampio respiro. I vari impegni di Lifeson e i problemi di salute cronici di Peart rendono difficile sostenere tour prolungati. Poco dopo, Peart annuncia il proprio ritiro dalle scene, sebbene Geddy Lee e Alex Lifeson provano inizialmente di ridimensionare la notizia.

Pubblicato il 20 novembre 2015 in formato audio e video, R40 Live rappresenta l’ultimo capitolo discografico dal vivo nella carriera dei Rush, una sorta di testamento sonoro e visivo che documenta con intensità e rigore il grandioso R40 Live Tour, concepito per celebrare i quarant’anni di attività della band canadese, nella formazione definitiva, è registrato durante due serate sold out, il 17 e il 19 giugno, all’Air Canada Centre di Toronto, città natale del trio. Non solo un ritorno a casa, dunque, ma anche una sorta di chiusura del cerchio, con un concerto che ha avuto il sapore di un addio, seppur non dichiarato.
La versione audio del concerto è distribuita su tre CD. Il primo raccoglie integralmente il primo set della serata, il secondo disco documenta il secondo set, mentre il terzo propone l’encore conclusivo e una serie di sette brani bonus, selezionati da altre date del tour. Oltre alla sua impeccabile qualità sonora e all’impatto esecutivo, R40 Live è particolarmente significativo per includere (per la prima e unica volta nella storia dal vivo della band) l’esecuzione di Losing It, traccia proveniente dall’album Signals (1982). Si tratta di un brano da sempre amato dai fan ma mai suonato dal vivo fino ad allora, forse anche per la sua particolare orchestrazione. In questa storica occasione, la band ha voluto chiamare sul palco Benjamin Mink, violinista originale del brano, la cui performance contribuisce in maniera determinante all’emotività della versione in studio. Come scrive Philip Wilding nel booklet dell’album, l’assolo di violino di Mink è uno di quei momenti «così intensi da rendere la canzone difficilmente riproducibile dal vivo».
La magia di quel momento trova ora finalmente spazio in una registrazione ufficiale, e viene ulteriormente arricchita da una seconda esecuzione del brano, presente tra i bonus del terzo disco, con il violinista Jonathan Dinklage, già parte dell’ensemble orchestrale del Clockwork Angels Tour, che prende il testimone di Mink in un’altra toccante interpretazione.
Il valore di R40 Live non risiede soltanto nella qualità musicale e nella cura tecnica (fin dagli esordi tratti distintivi dei RUSH) ma anche nel simbolismo affettivo che racchiude. L’album rappresenta infatti una sorta di antologia definitiva dell’intero repertorio del trio: la scaletta è pensata come un viaggio a ritroso nel tempo, dai brani più recenti di Clockwork Angels fino ai classici degli anni Settanta, ripercorrendo la trasformazione stilistica di una band che ha saputo reinventarsi con coerenza, senza mai rinunciare alla propria identità, consolidandola nel tempo.
Oltre all’edizione standard, il live è stato proposto anche in due versioni deluxe: una CD/DVD e una CD/Blu-ray. Questi cofanetti speciali contengono, oltre ai contenuti audio e video, un gadget da collezione: una torcia proiettore Starman, simbolo iconico dei Rush, in edizione limitata, capace di proiettare il celebre logo bianco. Realizzata in metallo nero con etichetta grigia recante la scritta RUSH R40, la torcia è dotata anche di un pratico portachiavi. Questi cofanetti sono oggetti assai ambiti tra i collezionisti.
R40 Live, più che un semplice album dal vivo, è una celebrazione della storia, del talento e dell’eredità dei Rush. Un documento che cattura l’anima del trio nel suo habitat più autentico: il palco.
Col senno di poi, assume il valore commovente di una chiusura, che consegna ai fan un ultimo e memorabile atto d’amore da parte di una delle band più influenti del rock progressivo e della musica.

Rush (2018)I RUSH nel 2018 - da sinistra: Geddy Lee, Alex Lifeson e Neil Peart

Nel 2016 usce il documentario Time Stand Still, un emozionante racconto degli ultimi anni del gruppo. Ma è solo nel 2018 che Lifeson, in un’intervista franca, dichiara: «È finita. Dopo 41 anni, abbiamo detto basta.»

La storia si concluse definitivamente il 7 gennaio 2020, con la morte di Neil Peart a causa di un tumore cerebrale, dopo una battaglia silenziosa durata oltre tre anni.

La scomparsa di Peart ha lasciato un vuoto incalcolabile nel mondo del rock progressivo e della musica. La sua maestria tecnica, la sua immaginazione lirica e la sua etica del lavoro sono oggi parte integrante del DNA della musica moderna. E i RUSH, pur non essendo più attivi, continuano a risuonare nella memoria collettiva come simbolo di integrità artistica, innovazione e virtuosismo.

Perché, infondo, non si diventa la più grande rock band di sempre per nulla.

Neil Peart

NEIL PEART
12 settembre 1952 - 7 gennaio 2020
IN LOVING MEMORY


Gli album della seconda parte:

Rush - Presto (1989)Presto ‌ (1989)

RUSH - Roll The Bones (1991)‌Roll The Bones (1991)

RUSH - Counterparts (1993)Counterparts ‌ (1993)

RUSH - Test for Echo (1996)Test for Echo ‌ (1996)

RUSH - Different Stages (1998)Different Stages ‌ (1998)

RUSH - Vapor Trails (2002)Vapor Trails ‌ (2002)

RUSH - Rush in Rio (2003)‌Rush in Rio (2003)

RUSH - R30- 30th Anniversary World Tour (2005)‌R30- 30th Anniversary World Tour (2005)

RUSH - Snakes & Arrows (2007)Snakes & Arrows ‌ (2007)

RUSH - Snakes & Arrows Live (2008)‌Snakes & Arrows Live (2008)

RUSH - Grace Under Pressure Live (2009)Grace Under Pressure Live ‌ (2009)

RUSH - Clockwork Angels (2012)Clockwork Angels ‌ (2012)

RUSH - R40 Live (2015)‌R40 Live (2015)

RUSH - Time Stand Still - DVD e Blue-Ray (2016)Time Stand Still DVD e Blue-Ray (2016)



  1. Freddie Gruber (1927–2011) è stato un batterista jazz americano e un leggendario insegnante di batteria. Cresciuto nella scena bebop di New York, suonò con artisti come Rudy Vallée e Charlie Parker prima di trasferirsi a Los Angeles, dove avviò una rinomata carriera come insegnante a partire dagli anni 60. Tra i suoi allievi figurano Vinnie Colaiuta, Steve Smith, Dave Weckl e (ovviamente) Neil Peart dei Rush, che gli ha tributato grande riconoscenza per aver trasformato il suo approccio alla batteria. Gruber era noto per una didattica basata su fluidità, movimento naturale e musicalità. Nel 2011 ricevette un premio alla carriera al NAMM Show per il suo contributo all’educazione musicale. È scomparso pochi mesi dopo, lasciando un’impronta profonda nella storia della batteria moderna.

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