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RUSH. L’epopea sonora di un trio leggendario. Parte uno: 1968-1976

Author: Anders Ge.

Nati nel cuore degli anni Sessanta a Toronto, i Rush hanno trasformato il rock progressivo con la loro straordinaria miscela di tecnica strumentale, liriche filosofiche e spirito indipendente. Dalla potenza hard rock di Rush” all’audacia elettronica di Signals”, fino all’epilogo visionario di Clockwork Angels”, il trio ha ridefinito gli orizzonti sonori di un’intera generazione. Nel ripercorrere la loro evoluzione, si scopre non solo una carriera, ma un percorso di innovazione artistica e integrità senza compromessi.

Rush Logo (1973 Pink)


Una breve introduzione

Sono approdato” ai RUSH relativamente tardi”, nel 1987. Quell’anno mi capitò di vedere il video di The Big Money, dall’album del 1985 Power Windows. Rimasi letteralmente catturato da quel mix di elettronica e rock, tanto che riuscii anche a sorvolare su un video decisamente poco invitante, almeno per il sottoscritto, fatto in computer graphics, all’avanguardia per quei tempi, sullo stile del contemporaneo Money for Nothing dei Dire Straits. Il giorno dopo andai subito nel mio negozio di dischi preferito per acquistare il disco ma, con sommo dispiacere, era temporaneamente esaurito. In compenso, però, era appena uscito il nuovo, appena arrivato d’importazione dal Canada (perché era Anthem e non Mercury - capirete più avanti): Hold Your Fire.
Decisi di acquistarlo e, accidenti, non era un semplice disco rock, no, era uno stramaledetto capolavoro. Uno di quei dischi che quando si mettono sul piatto dello stereo non si tirano più via per molto tempo.
Va da se che ho cominciato a comprare i dischi a ritroso, quelli che non avevo. E cosa scopro? Che la loro musica cambia e si evolve da disco a disco. Ma lo fanno con coerenza, oltre che coraggio. Non ci metto praticamente nulla a dedicare un posto privilegiato nel mio cuore per questa band che trascende i generi e infonde nella sua musica un’energia vitale unica e inconfondibile. Ogni disco è una scoperta, un pezzo unico, un piccolo capolavoro.
Ecco perché, per me, i RUSH sono stati, sono e sempre saranno, la più grande e importante Rock Band di sempre.
Non ho difficoltà a dirlo e a confermarlo. La loro musica è su un altro livello, inarrivabile dai più, avvicinabile da qualcuno, ma sempre e solo unica. Questi post sono solo un piccolo e personale tributo che faccio al trio di Toronto, al quale posso solo dire GRAZIE per le tante emozioni e i momenti indescrivibili che mi hanno fatto passare, nella gioia e nel dolore, da solo e con gli amici.

Summer’s going fast - Nights growing colder
Children growing up - old friends growing olderExperience slips away…
(“Time Stand Still”, from: Hold Your Fire, 1987)

Milano, 4 giugno 2025


La band

Nel vasto panorama del rock progressivo e dell’hard rock, pochi nomi hanno lasciato un’impronta così profonda e duratura come i canadesi RUSH. Nato a Toronto, Ontario, alla fine degli anni Sessanta, il gruppo si è affermato non solo per le sue capacità tecniche fuori dal comune, ma anche per la coerenza e l’evoluzione di una visione musicale autenticamente originale e personale.
Composto dalla triade irripetibile formata da Geddy Lee (voce, basso, tastiere), Alex Lifeson (chitarra e tastiere) e Neil Peart (batteria e testi), i RUSH sono stati per decenni il punto d’incontro tra il rigore del virtuosismo strumentale e la libertà dell’immaginazione. La formazione si è consolidata nel luglio del 1974, quando Peart, già noto nella scena canadese per la sua precisione percussiva e la profondità intellettuale, prende il posto del batterista originario John Rutsey, giusto in tempo per l’inizio della prima tournée statunitense della band.

Rush (1973)I RUSH nel 1974 - da sinistra: Alex Lifeson, Geddy Lee e John Rutsey

L’alchimia del suono

Sin dal debutto discografico con l’album omonimo RUSH, pubblicato nel marzo 1974, il gruppo si è distinto per l’impressionante affiatamento tra i suoi membri. Ognuno dei tre componenti possiede una padronanza tecnica straordinaria del proprio strumento, ma ciò che davvero rende unico il suono dei RUSH è la capacità di intrecciare questi talenti in composizioni dense, articolate e tuttavia coerenti. Con arrangiamenti mai scontati e testi ricchi di suggestioni filosofiche, fantascientifiche e umanitarie, la loro musica riesce a parlare tanto all’intelletto quanto al cuore.
I temi trattati nei testi, tutti affidati a Neil Peart a partire dal suo ingresso nella band, nel successivo Fly by Night, spaziano dalla speculazione fantastica alla riflessione sociale, dall’indagine psicologica alla difesa del pensiero libero. Se brani come 2112 e Cygnus X-1 pescano nell’immaginario della science-fiction più audace, altri come Subdivisions e The Trees affrontano con occhio critico le dinamiche della società contemporanea e della condizione umana.

Un percorso stilistico in costante mutazione

Musicalmente, i RUSH sono un organismo in costante trasformazione, una perenne evoluzione. Partiti da sonorità esplicitamente hard rock, ispirate in larga misura alla lezione dei Led Zeppelin e alle radici blues, i tre musicisti hanno progressivamente introdotto elementi tratti dalla musica sinfonica, dal jazz, dall’elettronica e persino dal reggae e dal funk, in un cammino di continua ricerca ed evoluzione.
Già negli anni Settanta, il gruppo abbraccia strutture complesse e tempi (musicali) dispari, creando vere e proprie suite in miniatura, piene di cambi di registro e passaggi strumentali arditi. Negli anni Ottanta, invece, l’attenzione si sposta sull’uso creativo dei sintetizzatori, dei sequencer e delle nuove tecnologie, dando vita a una stagione elettronica che ha saputo unire l’ambizione progressive con l’orecchiabilità di un sound più accessibile, senza mai per questo cedere il fianco alla banalità o alla semplicità melodica di massa. Questa capacità di evolvere rimanendo fedeli alla propria essenza ha permesso ai RUSH di conquistare un pubblico eterogeneo che spazia dagli amanti del progressive più sofisticato, agli estimatori del metal tecnico e ai semplici” ascoltatori affascinati dalla bellezza dei loro intrecci musicali.

Un’influenza che attraversa i generi

Nel corso della loro lunga carriera, i RUSH hanno ispirato un numero straordinario di artisti e band, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo di diversi sottogeneri del rock e del metal. Se i Dream Theater li citano come riferimento assoluto per la costruzione di un progressive metal tecnico e visionario, gruppi come Metallica, Primus, The Smashing Pumpkins e Symphony X hanno riconosciuto in loro una fonte essenziale di ispirazione, chi per le soluzioni ritmiche, chi per l’originalità compositiva, chi ancora per l’integrità artistica.
Lungi dall’essere una band di nicchia, i RUSH sono — e continuano ad essere — una vera e propria scuola musicale. Il modo in cui Geddy Lee usa il basso come strumento melodico, la capacità di Alex Lifeson di fondere l’energia del rock con la raffinatezza armonica e la visione percussiva orchestrale di Neil Peart, hanno ridefinito gli standard dei rispettivi strumenti. Non è un caso che ciascuno dei tre musicisti sia stato più volte votato come miglior interprete del proprio strumento da riviste specializzate e sondaggi internazionali, rivolti sia ad appassionati che a professionisti.

Riconoscimenti e impatto culturale

Nel 1994, la loro importanza per la scena musicale canadese è stata formalmente riconosciuta con l’ammissione nel Canadian Music Hall of Fame. Nel corso degli anni, hanno accumulato 24 dischi d’oro e 14 dischi di platino solo negli Stati Uniti, un traguardo raggiunto da pochissimi altri gruppi. Secondo i dati della RIAA (Recording Industry Association of America), i RUSH si collocano al quarto posto tra le band rock per numero di dischi d’oro o di platino consecutivi ottenuti, superati soltanto da giganti come Beatles, Rolling Stones e Aerosmith. Nel 2013, la consacrazione definitiva arriva con l’ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame, coronamento simbolico per una carriera che non ha mai cercato il successo facile ma ha saputo conquistarlo con coerenza, determinazione e intelligenza.
A livello globale, si stimano oltre 40 milioni di dischi venduti, anche se il numero esatto è difficile da determinare a causa della lunga e articolata discografia. Più che ai numeri, tuttavia, l’importanza dei RUSH si misura nell’influenza culturale nelle generazioni di musicisti che hanno guardato a loro come maestri, negli ascoltatori che li hanno seguiti come si segue un percorso di crescita, nelle opere ispirate direttamente o indirettamente al loro universo poetico.

Rush (1975)I RUSH nel 1975 - da sinistra: Geddy Lee, Neil Peart e Alex Lifeson

Il crepuscolo della leggenda

L’ultimo grande affresco sonoro dei RUSH è rappresentato da Clockwork Angels, pubblicato nel giugno 2012. Si tratta di un album ambizioso, concepito come un concept steampunk, in cui filosofia, scienza e narrazione si fondono in un racconto musicale stratificato e potente. Il tour successivo, partito a settembre dello stesso anno, mostra un gruppo ancora in piena forma, capace di offrire performance di altissimo livello anche dopo oltre 40 anni di carriera.

Tuttavia, nel dicembre 2015, Neil Peart annuncia pubblicamente il suo ritiro dalle scene, a causa di problemi di salute legati all’artrite e a una cronica tendinite. Geddy Lee cerca inizialmente di ridimensionare l’annuncio, ma è evidente che la band sta per concludere la propria parabola. La tournée R40, concepita come celebrazione dei quarant’anni di carriera, diviene il commiato ufficiale. Nel gennaio 2018, i RUSH confermarono lo scioglimento definitivo.

Il colpo più duro, però, arriva il 7 gennaio 2020, quando il mondo apprende della scomparsa di Neil Peart, dopo una lunga battaglia contro un tumore al cervello. Con lui, si spegne non solo un batterista ineguagliabile, ma anche una delle menti più brillanti e originali della storia del rock.

Un’eredità viva

Eppure, anche nella fine, i RUSH lasciano qualcosa che resiste al tempo. La loro opera continua a vivere grazie alla devozione dei fan, alle numerose ristampe, ai documentari, ai libri e ai tributi di artisti di ogni genere. Geddy Lee e Alex Lifeson hanno dichiarato di non avere in programma nuove attività come RUSH, ma entrambi proseguono, in forme diverse, il proprio percorso artistico.

I RUSH rappresentano un raro esempio di integrazione tra rigore tecnico e libertà espressiva e creativa, tra virtuosismo e umiltà, tra sogno e concretezza. Il loro lascito è, più che musicale, etico, culturale e spirituale. Ascoltare un album dei RUSH significa entrare in un universo parallelo dove nulla è lasciato al caso e tutto è possibile, ma niente è mai scontato.
Nel mondo della musica rock, dove spesso tutto è sacrificato all’immediatezza, la storia dei RUSH ci ricorda che il pensiero, la coerenza e la dedizione possono ancora creare bellezza duratura. E che, in fondo, esistono ancora gruppi capaci di accompagnare l’ascoltatore non solo attraverso suoni, ma anche lungo i sentieri tortuosi della coscienza.


L’epoca hard rock (1968–1976)

Per comprendere appieno la portata rivoluzionaria della parabola artistica dei RUSH, è essenziale tornare agli albori, quando il gruppo non è ancora il sofisticato laboratorio sonoro che avrebbe dominato il progressive rock negli anni futuri, ma piuttosto una giovane formazione canadese armata di passione, determinazione e sogni elettrici.
Tutto ebbe inizio nel 1968, nel quartiere Willowdale di Toronto, in Ontario. Qui, tre adolescenti uniti dalla comune passione per il rock più energico danno vita a una band destinata a riscrivere molte regole del genere. Alex Lifeson, chitarrista dallo stile istintivo ma già curioso, è tra i fondatori insieme al batterista John Rutsey e al cantante e bassista Geddy Lee (pseudonimo di Gary Lee Weinrib). Il gruppo, inizialmente influenzato dalla scena hard blues britannica, si muoveva sulle orme di giganti come Cream, The Who e soprattutto Led Zeppelin, al punto che le prime esibizioni dal vivo sono dominate da cover e strutture sonore fortemente debitorie al quartetto formato da Jimmy Page, Robert Plant, John Paul Jones e John Bonham.
Nonostante l’inesperienza, i RUSH riescono a imporsi rapidamente nella scena musicale locale. Il loro primo sostenitore e manager è Ray Danniels, che intuisce il potenziale della formazione e ne sostiene lo sviluppo assistendo alle loro prime performance nei club dell’area torontiana. Sotto la sua guida, la band guadagna stabilità, conquistando una base di fan sempre più ampia.
Nel 1973, i RUSH pubblicano il loro primo singolo, una versione energica di Not Fade Away di Buddy Holly, accompagnata sul lato B da un brano originale, You Can’t Fight It, firmato da Lee e Rutsey. Sebbene il disco non riceve particolare attenzione e viene ignorato dalla stampa e dalle etichette canadesi, serve a consolidare il desiderio del gruppo di procedere per conto proprio. Nasce così l’etichetta indipendente Moon Records, creata per produrre e distribuire il materiale dei RUSH senza dover attendere i favori dell’industria discografica ed avere un maggiore controllo sul territorio canadese. Dopo il primo disco della band, la Moon Records ha chiuso come etichetta discografica indipendente trasformandosi, nel 1974, in società di produzione musicale con il nome di Anthem Records, che diventerà l’etichetta dei Rush in Canada per ogni loro produzione.
Grazie al supporto tecnico dell’ingegnere del suono Terry Brown, figura fondamentale per il suono della band nei successivi anni, nel marzo del 1974 i RUSH riescono a pubblicare il loro primo LP, RUSH (18 marzo 1974), album che riflette chiaramente l’estetica zeppeliniana dell’epoca: riff muscolari, sezione ritmica compatta e la voce acuta e penetrante di Geddy Lee, definivano un sound diretto e potente, ancora lontano dalle ambizioni concettuali degli anni a venire.
L’album, inizialmente, ha una distribuzione locale limitata. Tuttavia, un episodio apparentemente casuale ne decreta il destino: Donna Halper, produttrice musicale della stazione radio WMMS di Cleveland, rimane folgorata dal brano Working Man, che diviene immediatamente popolare tra gli ascoltatori operai dell’area industriale dell’Ohio. Questo inatteso successo locale porta all’interesse della Mercury Records, che mette la band sotto contratto e ristampa l’album a livello nazionale. Il successo apre nuove prospettive, ma anche nuove sfide.
John Rutsey, affetto da diabete e poco incline alla vita da tournée, decide di lasciare la band nel luglio del 1974, poco prima dell’inizio della loro prima tournée statunitense. La sua uscita segna un punto di svolta. Messisi subito alla ricerca di un sostituto, Lee e Lifeson lo trovarono in Neil Peart, un batterista tecnico e visionario che non solo portava con sé un drumming sofisticato, ma anche una sensibilità letteraria rara nel rock dell’epoca (e anche futura).
Peart si unisce ufficialmente al gruppo il 29 luglio 1974 e fin da subito, il suo apporto è decisivo. Dopo appena due settimane, la nuova formazione si esibisce per la prima volta sul palco del Civic Arena di Pittsburgh, segnando l’inizio di una nuova era. Peart assume anche il ruolo di paroliere principale, liberando così Lee e Lifeson dal compito e consentendo loro di concentrarsi esclusivamente sulla costruzione delle architetture sonore. Il primo frutto di questa nuova sinergia è l’album Fly by Night (14 febbraio 1975). L’energia hard rock del debutto veniva ora incanalata in strutture più elaborate, mentre i testi cominciano ad esplorare temi fantastici e visionari. Il brano By-Tor and the Snow Dog, diviso in sezioni narrative e ricco di effetti sonori, rappresentava la prima vera incursione della band nel territorio delle mini-suite epiche, preludio al progressive rock che avrebbe caratterizzato gli anni a venire.

Rush (1976)I RUSH nel 1976 - da sinistra: Alex Lifeson, Geddy Lee e Neil Peart

Nello stesso anno, la band pubblica Caress of Steel (24 settembre 1975), un lavoro più ambizioso e sperimentale, composto da cinque tracce, tra cui due lunghe suite: The Necromancer e The Fountain of Lamneth. Entrambe testimoniano un forte desiderio di esplorare il racconto musicale come forma narrativa autonoma. L’album, pur mantenendo un piede nel rock duro, si avventurava in territori più arditi, con arrangiamenti intricati, atmosfere oniriche e strutture cicliche. Tuttavia, questa audacia stilistica non è accolta positivamente, né dalla critica né dal pubblico e molti recensori lamentarono una certa disomogeneità e una mancanza di coesione nei brani più lunghi. Il risultato è un flop commerciale. La tournée di promozione dell’album, ironicamente ribattezzata Down the Tubes Tour, si tiene in piccoli locali e vede una scarsa affluenza di pubblico. Le pressioni della casa discografica aumentarono e i dirigenti della Mercury insistono per un cambio di rotta verso uno stile più commerciale. Ma i RUSH, coerenti con la loro filosofia, decidono di seguire l’istinto artistico anziché le logiche del mercato e, nel 1976, il gruppo pubblica 2112 (1° aprile 1976), un disco destinato a cambiare per sempre la loro storia. Il lato A è occupato interamente dalla suite omonima, una narrazione fantascientifica in sette movimenti ambientata in un futuro distopico dove la musica è bandita da una tirannia tecnocratica. La traccia, ispirata in parte agli scritti di Ayn Rand1, è un grido di libertà creativa e individuale, ma anche una sfida lanciata al sistema dell’industria musicale. Il lato B, invece, raccoglie brani più brevi ma altrettanto efficaci, a testimonianza della versatilità del trio.
2112 è un successo strepitoso, il primo disco dei RUSH a ottenere il disco di platino in Canada, e pone le basi per la fase progressiva che avrebbe caratterizzato i successivi capitoli. Il tour che seguì culmina con una storica tripletta di concerti al Massey Hall di Toronto, registrati e pubblicati come All the World’s a Stage (29 settembre 1976), il primo live ufficiale della band. Quel disco dal vivo non solo chiude simbolicamente il capitolo hard rock del gruppo, ma serve anche da ponte verso la fase più matura e concettuale della loro carriera, il momento di transizione definitiva, da promettente gruppo di hard rock a pionieri visionari del progressive rock globale. Greg Prato critico di All Music Guide (e di altre note testate), parlando del disco dice che «a metà degli anni 70 [i RUSH] erano ancora una band di hard rock grezzo e rabbioso, catturato perfettamente in All the World’s a Stage composto quasi interamente dal loro materiale più pesante, l’album ha un bel peso» definendo All the World’s a Stage come «un modo appropriato per chiudere il primo capitolo dei RUSH, come affermano le note di copertina2».

CONTINUA…


Gli album della prima parte:

Rush (1974)RUSH (1974)

Fly by Night (1975)Fly by Night (1975)

Caress of Steel (1975)Caress of Steel (1975)

2112 (1976)2112 (1976)

All The World’s A Stage (1976)All The World’s A Stage (1976)



  1. Ayn Rand (nata Alisa Zinov’evna Rozenbaum a San Pietroburgo nel 1905 e morta a New York nel 1982) è stata una scrittrice e filosofa di origine russa naturalizzata statunitense. Nota per romanzi come Noi vivi, La fonte meravigliosa e La rivolta di Atlante, ha fondato la corrente filosofica dell’oggettivismo, che pone al centro l’individuo, la razionalità e il libero mercato. Oltre alla narrativa, ha scritto saggi e sceneggiature, influenzando ampiamente il pensiero libertario americano.

    ↩︎
  2. All Music: All the World’s a Stage Review by Greg Prato↩︎

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