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LABUBU & LAFUFU. Viaggio semiserio nel delirio peloso tra kawaii mutante, collezionismo isterico e cultura del falso.

Author: Anders Ge.

Sembrano conigli su di giri travestiti da peluche, costano come opere d’arte e scatenano risse nei negozi: Labubu, il feticcio kawaii che ti guarda storto mentre spendi 300 euro per sentirti di nuovo un bambino disfunzionale. Sì, è assurdo. E sì, lo vuoi anche tu.

Labubu


1. LABUBU

Il peluche che fa impazzire il mondo (e svuotare i portafogli)

C’era una volta un coniglio. Ma non era proprio un coniglio. Aveva i denti troppo aguzzi, lo sguardo troppo malizioso, e un’energia troppo da rave party per essere solo un pupazzo. Frutto dell’improbabile incrocio tra un coniglio sotto anfetamine e un peluche per bambini possibile solo nei tuoi sogni più febbrili dopo una maratona di film di Tim Burton, una scorpacciata di zuccheri e una sessione di karaoke notturno con un Gremlin. Si chiamava Labubu ed è diventato il peluche più ambito, il più adorato e, per alcuni, anche il più detestato del pianeta pop. Un’icona da borsa, un feticcio da collezione, un emblema della nuova nostalgia. Un peluche? Più o meno. Un oggetto di design? Forse. Una febbre globale? Sicuramente.
In breve: il fenomeno Labubu.
Nato nel 2015 dalla mente di Kasing Lung, illustratore di Hong Kong, come parte della serie The Monsters, Labubu ha trovato la sua consacrazione quando Pop Mart, colosso cinese dei giocattoli in edizione limitata, ha preso il controllo del franchise. Dal 2019 in poi, è stato un crescendo fino al boom del 2024, quando una piccola decisione di stile da parte di Lisa del gruppo K-pop sudcoreano BLACKPINK, ovvero appenderne uno alla borsa, ha scatenato l’apocalisse del collezionista.

Lisa con Labubu)Lisa delle Blackpink con i Labubu

Da li si scatena una reazione a catena degna di un’apocalisse glitterata: nel giro di settimane, anche Rihanna, Dua Lipa, Paul Pogba e persino David Beckham si fanno ritrarre con il loro Labubu personale, come se portarsi dietro un piccolo mostro fosse diventato il nuovo codice d’accesso per l’élite planetaria.
Sui social, il diluvio: milioni di video di unboxing, tutorial su come legarlo allo zaino senza farselo rubare, confessioni struggenti di chi ha trovato il segreto dorato. In coda nei negozi, scene che neanche per i biglietti dei Coldplay. A Parigi si campeggia fuori dai Pop Mart Store come ai tempi d’oro dell’iPhone. In Corea del Sud le autorità devono sospendere le vendite nei negozi per evitare risse tra adulti sudati e minorenni infuriati. Sui marketplace, prezzi impazziti che vanno da 20 euro a oltre 150.000 per una statua da 130 cm venduta all’asta a Pechino (e non è niente, paragonato a certi prezzi a cui si trovano ora e non solo su siti di dubbia onestà…). Cose che neanche i tulipani nell’Olanda del 600.
E intanto Pop Mart vola in borsa, con una crescita del 520%. Altro che NFT: il vero investimento oggi è un coniglio posseduto con lo sguardo da psicopatico e le orecchie da influencer.

Ma che diavolo è un Labubu?

Un tempo erano le scarpe da ginnastica. Poi sono arrivati gli NFT, gli orologi da rivendere a Ginevra e i vinili da esibire su Instagram. Oggi? Oggi lo status symbol si chiama Labubu.
Un pupazzo? Un vinile? Un peluche con crisi d’identità? Tutte le risposte sono valide. Labubu è l’equivalente del brutto-cool, brutto da essere adorabile. Una creatura che sembra uscita da un incubo di Hayao Miyazaki sotto acido, con una spruzzata di Gremlins e un pizzico di Hello Kitty del multiverso oscuro. Con le sue orecchie da coniglio e i denti da piccolo demone, ha conquistato la Gen Z proprio per quello che non è: perfetto, liscio, sobrio.
Labubu è sporco, strano, distorto e per questo affascinante. È un feticcio che sfugge alla regola, un accessorio punk che si finge kawaii. Ed è diventato, in un certo senso, il simbolo di una generazione che non vuole più regole di bellezza patinate (solo sulla carta…), ma peluche dall’estetica borderline.
Ma se non ne hai uno (meglio se raro, meglio ancora se fluorescente e con cappellino da pirata), sei out. Se lo appendi alla borsa Chanel, sei una trendsetter. Se riesci a trovare quello segreto, puoi rivenderlo a tre zeri e raccontarlo come un viaggio spirituale.
Non si tratta solo di possedere un oggetto, ma di partecipare a un rituale collettivo. L’apertura della blind box è un atto sacro: sospiri, speranze, sguardi verso il cielo. Dentro ci trovi una creatura o, come direbbero gli influencer, un piccolo miracolo in vinile. Non è importante il valore oggettivo: è la rarità, l’irreperibilità, il brivido dell’ignoto che conta. È l’emozione che genera dopamina, come una slot machine ma con orecchie da peluche.

Labubu)3 Labubu

Collezionismo cieco: la magia della blind box

Il vero segreto però non è solo nel design. È nella modalità di acquisto: la famigerata blind box. Non puoi scegliere il tuo Labubu, lo acquisti alla cieca e scopri solo dopo cosa hai pescato. Una roulette emotiva. Un rituale mistico. Una strategia commerciale da manuale. E ovviamente un richiamo irresistibile per chi soffre di ansia da completamento serie e desidera _l’ebbrezza del pezzo raro.
Come le lootbox nei videogame o le figurine Panini, la blind box non è solo un oggetto, ma un’esperienza. Una dopamina-box, perfetta per TikTok e Reddit, dove fioccano racconti, delusioni e successi, tra unboxing, checklist da spuntare e scontri tra fan su chi possieda davvero il leggendario Secret Glow-In-The-Dark Pirate Edition.

Peluche si, ma con mercato da borsa

Nel 2024 Labubu ha generato un fatturato di circa 360 milioni di euro. Pop Mart ha visto il proprio valore salire alle stelle, con una crescita in borsa del 520% in un solo anno. Non male per un pupazzo psichedelico di 15 cm. Ma con il successo sono arrivate anche le ombre: furti, truffe, risse nei negozi, accaparramenti online che neanche le sneaker drop di Nike.
La situazione è diventata talmente ingestibile che nel Regno Unito e Corea del Sud le vendite nei negozi fisici sono state temporaneamente sospese per motivi di sicurezza. Altro che Pokémon GO: qui si sfiorano scene da film distopico. A Parigi, si è arrivati ai lucchetti per non farsi strappare il pupazzo dalla borsa nella metro. E no, non è una metafora.

Labubu Coca-Cola Special Edition)Edizione speciale per Coca~Cola

Labubu come specchio della nostra epoca

Ma se vogliamo fare gli intellettuali (e sì, lo vogliamo, perché no), Labubu è più che una moda. È un sintomo. Un bisogno di tenerezza in un mondo iperconnesso e stressato. Un surrogato morbido e buffo di quella sicurezza infantile che molti adulti cercano nei gadget di design, nei pupazzi d’arredo o nei memory toy da scrivania.
Labubu, in fondo, è un antidepressivo non prescritto. Un piccolo mostro che ci guarda storto mentre ci ricorda che essere strani non solo è permesso, ma anche cool.

2. LAFUFU

Ovvero: quando il falso diventa culto parallelo

E ora, parliamo dell’elefante (anzi, del coniglio brutto) nella stanza: i Lafufu. Nome che suona come uno scherzo, e in effetti lo è. Ma il fenomeno è molto serio. Perché quando una moda esplode, il mercato reagisce. E nel caso dei Labubu, ha reagito con il fake. E che fake.
Lafufu non è un brand ufficiale. È il nomignolo affettuoso e un po’ sarcastico che la community ha dato alle innumerevoli contraffazioni che infestano le piattaforme di vendita online come AliExpress, Temu e amici. Non sono veri Labubu, ma lo sembrano.
O almeno ci provano.

Lafufu)Lafufu

Chi ha inventato Lafufu?

Boh. Nessuno lo sa davvero. Forse un utente di Reddit, forse un genio del marketing dell’ombra. Il nome suona come un gioco fonetico con Labubu, ma anche come una risatina maliziosa: La-fu-fu”, come a dire eh eh ti ho fregato”. E il nome è rimasto, diventando parola d’ordine, codice cifrato, hashtag virale. Cercate Lafufu su TikTok e troverete un universo parallelo pieno di drammi, gioie, indignazioni e arte creativa.

Ma come si riconosce un Lafufu?

Facile… o quasi. A volte le copie sono così ben fatte da trarre in inganno anche i collezionisti esperti. Ma ecco qualche trucco per smascherare il piccolo impostore:

  • Qualità visiva sospetta: pelliccia spelacchiata, cuciture che gridano aiuto, colori acidi, proporzioni sbilenche.
  • Confezione farlocca: niente scatola elegante Pop Mart, solo sacchetti di plastica che sembrano usciti da un negozio di bomboniere degli anni Novanta.
  • Mancanza dei dettagli: niente QR code, niente smaltature, niente effetto WOW!. Le guance non arrossiscono e i piedi non brillano ai raggi UV? Indizio!
  • Prezzo troppo bello per essere vero: se costa meno di un panino gourmet, forse è un fake. Anzi no, lo è sicuramente.

Ma se costa poco, è poi così grave?

Qui la questione si fa più sfumata. Perché se da un lato i Lafufu sono contraffazioni, dall’altro diventano un’alternativa low-cost per chi non può o non vuole spendere cifre da investimento finanziario per un peluche. E soprattutto è disponibile, vista la quasi impossibilità di riuscire ad acquistarne uno vero. Per qualcuno poi, l’esperienza creativa è persino più interessante.
È nato infatti il fenomeno del Lafufu Glow-Up, cioè trasformare un fake in una piccola opera d’arte. Customizzazioni, pellicce ritagliate, verniciature, vestitini handmade. Online impazzano video di utenti che prendono un Lafufu da quattro soldi e lo rendono unico. Come il punk che personalizzava la giacca di pelle: DIY1 a tema peluche.

Lafufu)altri Lafufu

Truffa o sottocultura?

Il rischio resta, certo. C’è chi prova a spacciare Lafufu per originali, gonfiandone il prezzo. C’è chi casca in siti truffaldini che promettono edizioni segrete mai esistite. Ma, in mezzo a tutto questo, c’è anche una dimensione spontanea, autentica, creativa. Il Lafufu non è solo una brutta copia, è anche uno specchio dell’ingegno popolare, della resilienza dei fan, del desiderio di possedere un pezzetto di quella strana magia, anche in versione tarocca.

Tra Labubu e Lafufu, il confine è sottile

In un mondo dove il collezionismo diventa stile di vita e i peluche assomigliano a meme tridimensionali, Labubu e Lafufu rappresentano due facce della stessa ossessione. L’uno ufficiale, blasonato, certificato. L’altro underground, irregolare, sfacciato. Entrambi però rispondono alla stessa fame di tenerezza, gioco, identità.
Che siate puristi Pop Mart o spiriti liberi del fake, la morale è una sola: viviamo in un’epoca in cui anche un pupazzo con i denti da squalo può dire qualcosa di profondo sul nostro tempo. O almeno strapparci un sorriso.
E non è forse già qualcosa?

3. E quindi?

Tirando le somme…

Ma, alla fine della fiera, che cosa ci dicono davvero queste creature pelose dai denti storti e il sorriso ambiguo? Che tu sia un devoto del Labubu originale, sigillato, certificato, benedetto da Pop Mart e idolatrato dalle celebrità comprato dopo ore di fila fuori dal negozio, o pagato a peso d’oro su internet, o ancora vinto in una lotteria online tra pianti e glitch; oppure un’anima ribelle che si accontenta (o si esalta) con un Lafufu, suo gemello borderline ma economico, arrivato da Temu dopo tre settimane e mezzo di ansia e con l’odore sospetto di plastica bruciata, il senso profondo è sempre lo stesso: ci stiamo tutti aggrappando a un pupazzo con i denti da roditore per sentirci meno soli, meno adulti, o semplicemente più cool, volendo credere, almeno per un attimo, che un peluche possa salvarci la giornata.

Il Labubu è il re dell’altare pop, l’oggetto di culto mainstream con il pedigree, la blind box, la carta d’identità timbrata Pop Mart e l’aura di esclusività che ti fa sentire speciale solo per averlo trovato. È l’equivalente kawaii di un Rolex. Il Lafufu invece è il fratello punk, irregolare, borderline, spesso brutto da far tenerezza, ma libero. E soprattutto economico.
Dove l’uno è status, l’altro è sopravvivenza creativa.
Dove l’uno è capitale emotivo, l’altro è vendetta da discount.
Ma entrambi, alla fine, raccontano lo stesso vuoto e lo stesso desiderio: riempirlo con qualcosa di piccolo, morbido, un po’ mostruoso e tutto nostro. Siamo adulti stanchi con il cuore in pezzi, ma almeno abbiamo qualcosa da coccolare. E a volte, questo è l’unico lusso che conta davvero.

KAWAII PSICOPATICI E PUCCIOSI

Kasing Lung)Kasing Lung (龍家昇) il creatore dei Labubu



  1. DIY è l’acronimo di Do It Yourself (Fai Da Te)↩︎

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