Author: Anders Ge.
Una rigenerazione inaspettata, una narrazione tronca, personaggi mal sviluppati e scelte produttive discutibili hanno segnato le avventure del Quindicesimo Dottore con il marchio dell’incompletezza. Ma cos’è realmente accaduto a questa nuova incarnazione del Dottore? E perché la produzione ha scelto di voltare pagina così in fretta?
Questo articolo parla delle ultime due stagioni della serie televisiva di fantascienza inglese Doctor Who: la quattordicesima e la quindicesima, aventi come protagonista il Quindicesimo Dottore.
Nell’articolo sono presenti parecchi SPOILER.
Quindi, se non le avete ancora viste e non volete sapere cosa accade nelle due stagioni, NON LEGGETE QUESTO ARTICOLO.
Io vi ho avvisato, ora fate voi.
C’è qualcosa di profondamente affascinante nel modo in cui il Dottore si distingue dagli eroi convenzionali. Non è la forza fisica a definirlo, ma la mente — brillante, imprevedibile, a tratti eccentrica — e una profonda umanità, che persiste anche attraverso le sue molteplici rigenerazioni. Cambia volto, cambia tono, ma resta sempre sé stesso: strano, coraggioso, gentile. È proprio questa coerenza nella diversità, questa capacità di affrontare l’universo senza mai piegarsi alla crudeltà o alla violenza, che lo rende così unico e amato.
Nella vita reale, non possiamo risolvere i problemi a colpi di pugni. E il Dottore lo sa. Le sue decisioni non sono sempre semplici da accettare, anzi, a volte possono sembrare frustranti o controintuitive. Ma proprio per questo sono autentiche. È una figura profondamente irrazionale — forse la più irrazionale che si possa trovare nella narrativa fantascientifica — eppure la sua storia risuona con
una forza emotiva straordinaria. Cattura, incanta, scuote. L’universo di Doctor Who è vasto, mutevole, spesso assurdo. E proprio in questa sua imprevedibilità trova una verità profonda: nulla è davvero impossibile.
Craig Ferguson (comico, scrittore e conduttore televisivo scozzese-americano) una volta ha detto che Doctor Who rappresenta “il trionfo dell’intelletto e del romanticismo sulla forza bruta e sul cinismo”1, e non si potrebbe trovare definizione più calzante. Perché non è solo lui l’eroe. Lo sono anche le persone comuni che, travolte da eventi fuori dall’ordinario, trovano dentro sé stesse la forza per compiere scelte straordinarie. Spesso sono loro a salvare il Dottore, a ricordargli perché combatte, a mostrargli il meglio della razza umana.
Il Dottore non cerca “eletti” o “prescelti”. Non c’è bisogno
di essere geniali, potenti o perfetti per essere importanti. Tutti contano. Chiunque può fare la differenza. Questa è forse la lezione più potente che la serie trasmette. Doctor Who ha saputo offrire una rappresentazione ampia e inclusiva, molto prima che diventasse un impegno diffuso nel mondo dell’intrattenimento. Non importa l’origine, il colore della pelle, il credo o l’identità: nell’universo del Dottore, c’è spazio per tutti.
La serie non si limita a raccontare avventure spaziali. Scava in profondità nei sentimenti, affronta il dolore, la perdita, l’avidità, la solitudine. Il Dottore, con tutta la sua storia e i suoi traumi, continua a scegliere compassione al posto della vendetta, riflessione invece di distruzione. In questo caos narrativo — bellissimo, a volte struggente, sempre stimolante — si trova qualcosa di autentico: uno specchio delle nostre fragilità, delle nostre aspirazioni, della nostra capacità
di sognare.
Ed è forse per questo che continuiamo a seguirlo. Perché ci ricorda che, anche in un universo di stelle e mostri, ciò che conta davvero è la nostra capacità di pensare, di sentire, e di credere che il bene, a volte, può davvero fare la differenza e vincere.
Per questi motivi, voglio parlarvi di quel piccolo (ma importante) dolore narrativo che è stato il Quindicesimo Dottore, prematuramente sottrattoci, prima che potesse esprimere il suo vero potenziale ma che, comunque, nonostante tutto, ha mantenuto intatti tutti i suoi valori.
Con la conclusione dell’ultima stagione di Doctor Who, la quindicesima, gli spettatori si sono trovati di fronte a uno dei finali più sorprendenti, controversi e divisivi degli ultimi anni. L’epoca del Quindicesimo Dottore, interpretato da Ncuti Gatwa, non solo si è conclusa dopo appena 16 episodi (compresi i due speciali di Natale), ma ha lasciato il pubblico disorientato e il fandom diviso. Una rigenerazione inaspettata, una narrazione tronca, personaggi mal (o mai) sviluppati e scelte produttive discutibili hanno segnato questa ultime due stagioni (14 e 15, o anche 1° e 2ª, per il passaggio a Disney+ per la distribuzione internazionale — in Inghilterra resta, ovviamente, a BBC One) con il marchio dell’incompletezza. Ma cos’è realmente accaduto a questa nuova incarnazione del Dottore? E perché la produzione ha scelto di voltare pagina così in fretta? Il finale di stagione non solo rappresenta una svolta narrativa, ma anche una dichiarazione d’intenti, o forse di incertezza (?), da parte della produzione. La domanda che tutti si pongono ora è: cosa ci aspetta davvero nella prossima era del Dottore? E perché la produzione ha scelto di voltare pagina così in fretta?
All’inizio dell’era Gatwa, l’entusiasmo sembrava tornato a scorrere nel sangue della serie. Dopo gli anni turbolenti sotto la guida di Chris Chibnall (Tredicesimo Dottore, interpretato da Jodie Whittaker, dall’undicesima alla tredicesima stagione, tra il 2018 e il 2022) che avevano lasciato la serie in un limbo creativo, il ritorno di Russell T. Davies come showrunner fu accolto come un evento salvifico. Davies, architetto della rinascita moderna di Doctor Who nel 2005, aveva già dimostrato la sua abilità straordinaria nel mescolare emozione, avventura e dramma. L’annuncio che Ncuti Gatwa avrebbe raccolto l’eredità di Jodie Whittaker venne percepito come il segnale di un rinnovamento culturale importante: per la prima volta nella serie, un attore nero avrebbe ricoperto il ruolo principale in modo permanente e non in apparizioni marginali. Eppure, già dai primi passi, qualcosa sembrava disallineato. Il
passaggio da Whittaker a Gatwa fu preceduto da una curiosa anomalia: una rigenerazione intermedia che riportò, per tre speciali, David Tennant (il Decimo Dottore) nei panni del Quattordicesimo Dottore. Questo gesto, pensato per celebrare il sessantesimo anniversario della serie, sembrava già allora un gesto nostalgico più che un passo avanti. Una volta terminata quella (comunque buona) parentesi e finalmente introdotto il Quindicesimo Dottore, la serie sembrava pronta a ricostruirsi, ripartendo da zero. La stagione 14, pur con qualche difetto strutturale, aveva mostrato segnali promettenti e il Dottore di Gatwa risultava, brillante e spigliato (anche se un po’ troppo emozionale e con la lacrima facile). La sua intesa con la nuova compagna Ruby Sunday (interpretata brillantemente da Millie Gibson) funzionava, e gli episodi alternavano con discreta efficacia momenti di
leggerezza e tensione. Gli ultimi due episodi, il settimo e l’ottavo, con il ritorno di Sutekh, iconico villain dell’epoca classica (la sua prima apparizione è nel 1975 con il Quarto Dottore — interpretato da Tom Baker — in Piramyds of Mars, episodi da 09 a 12 della tredicesima stagione classica), era stato accolto con entusiasmo, anche perché, oltre allo storico villain, si trattava di un dittico decisamente ben realizzato, con tutti gli elementi che hanno fatto delle stagioni di Davies dei piccoli capolavori, al posto giusto. Segno che lo showrunner era si disposto a ripescare dal passato, ma anche a rielaborarlo con nuova linfa vitale.
Tuttavia, proprio quando lo slancio sembrava consolidato, la stagione 15 ha rotto il ritmo.
Millie Gibson è Ruby Sunday
Il secondo ciclo con Gatwa come protagonista avrebbe dovuto rappresentare la maturazione del suo Dottore. Invece, si è rivelato un pastiche incoerente e disomogeneo, una raccolta di episodi (alcuni decisamente ben riusciti, su tutti il secondo, LUX, con uno strepitoso antagonista a cartoni animati: Mr. Ring-a-Ding; il successivo, l’inquietante Profondità otto chilometri, praticamente il sequel di Midnight, decimo episodio della quarta stagione con protagonista il Decimo Dottore di Tennant; il simpatico sesto episodio, Il festival della canzone interstellare, con una versione dell’Eurovision Song Contest su scala intergalattica) più o meno scollegati fra loro e sorretti da una doppia trama orizzontale purtroppo poco sviluppata. Da un lato c’è la missione del Dottore per salvare la sua nuova compagna, Belinda Chandra (interpretata da Varada Sethu) e riportarla sulla sua una Terra, forse distrutta; dall’altro, la figura enigmatica della Signora Flood (la simpatica vecchietta vicina di casa di entrambe le compagne di viaggio del Quindicesimo Dottore, interpretata da Anita Dobson), destinata a rivelarsi, tramite una bi-generazione (come quella che ha dato vita al Quindicesimo Dottore dal Quattordicesimo), una nuova incarnazione di La Rani (qui ben interpretata da Archie Panjabi), antica nemesi del Dottore (la cui prima apparizione è nel 1985, con il Sesto Dottore — Colin Baker — nella ventiduesima stagione della prima serie, The Mark of the Rani — Ep.22-05 e 22-06). Sulla carta, gli elementi per una stagione memorabile c’erano tutti e la preparazione all’arrivo del personaggio antagonista buona (pur se conclusa blandamente). Ma la loro esecuzione è stata incerta e affrettata. Belinda, introdotta come potenziale nuova compagna del Dottore, resta un personaggio evanescente, privo di spessore e costantemente relegato ai margini della narrazione. La stessa Signora Flood, pur avvolta da un alone di mistero inizialmente intrigante, viene smascherata senza il dovuto crescendo narrativo. La rivelazione della sua identità come La Rani manca completamente di pathos: la costruzione del personaggio è talmente scarna che il colpo di scena non ha peso emotivo né drammaticità. E cosa dire di Omega? Il suo ritorno (appare nei primi quattro episodi della decima stagione, The Three Doctors — 1972-1973, Ep.10-01,02,03 e 04), altro richiamo alla tradizione della serie, si consuma in poche inquadrature prive di tensione, rendendolo una semplice comparsa senza funzione narrativa, che si sbarazza senza difficoltà di La Rani (la principale, l’altra, la Signora Flood, fugge senza pensarci due volte, prima di condividere la stessa fine) e viene sconfitto con una semplicità disarmante, per essere un essere ultrapotente, creatore degli stessi Signori del Tempo, corrotto nell’animo all’inverosimile. Si ha l’impressione che la produzione abbia voluto inserire il maggior numero possibile di riferimenti storici per compiacere i fan di lunga data, senza però fornire a questi elementi lo spazio e la profondità necessari. Il risultato è un’annata che avrebbe potuto (e dovuto) rilanciare il mito del Dottore e, invece, ha finito per sprecare il suo potenziale.
Se c’è un momento che rappresenta in pieno i problemi strutturali della stagione 15, è proprio l’episodio conclusivo, intitolato La Guerra della Realtà (The Reality War, Ep.16-08). Qui si compie la trasformazione definitiva del Dottore, con la rigenerazione finale di Gatwa. Ma è una rigenerazione che arriva troppo presto, troppo in fretta, e soprattutto troppo forzata e immotivata. Le rigenerazioni sono da sempre momenti chiave della mitologia di Doctor Who, transizioni cariche di emozione, costruite con cura lungo intere stagioni. Ma in questo caso, la scelta narrativa sembra piegata a esigenze produttive (di ascolti?). L’intera seconda parte dell’episodio abbandona i conflitti con La Rani per concentrarsi sulla figura di Poppy, la figlia del Dottore e di Belinda, che in realtà è solo il frutto di una manipolazione della realtà. Il problema è che il pubblico non ha avuto il tempo di affezionarsi a Poppy, introdotta tardi, vista pochissimo e
(non) sviluppata frettolosamente. Il tentativo di farne il cuore emotivo della storia risulta inefficace. La decisione del Dottore di sacrificarsi per salvarla è priva del peso morale ed emotivo che avrebbe dovuto accompagnare una simile scelta. In più, il gesto sembra persino incoerente col carattere del Quindicesimo Dottore che, fino a quel momento, aveva dimostrato spirito combattivo e voglia di riscatto. La rigenerazione arriva quindi come un mero espediente narrativo, uno stratagemma per uscire da un’impasse in cui era caduta la stagione.
Eppure, le parole dello stesso Gatwa avevano lasciato intendere la volontà di continuare per una terza stagione, ma qualcosa è cambiato nel frattempo e il sospetto che il suo addio sia stato accelerato da scelte esterne alla trama si fa sempre più forte.
Il trattamento riservato a Gatwa lascia l’amaro in bocca. L’attore scozzese di origini ruandesi ha portato al ruolo freschezza, energia scenica e intelligenza interpretativa, caratteristiche che avevano conquistato il pubblico sin dai primi episodi. Il suo Dottore era vibrante, emotivo, umoristico senza essere farsesco. Era riuscito nell’impresa non facile di proporre una figura familiare eppure nuova, che onorava la tradizione senza esserne schiacciata. Non è tra i miei Dottori preferiti, specialmente per la sua tendenza all’avere la lacrima facile, ma è innegabile che il suo approccio al personaggio è stato un taglio innovativo (e necessario per non ripetersi) rispetto ai precedenti.
Purtroppo, è stato anche il Dottore meno valorizzato degli ultimi decenni. Con appena diciotto episodi all’attivo — inclusi gli speciali natalizi — Gatwa è il primo Dottore della nuova era a non superare le due stagioni, eccezion fatta per Eccleston, protagonista però di un reboot
epocale, non rinnovato per sua scelta. Questo rende il trattamento riservato a Gatwa ancora più un’ingiustificabile occasione sprecata.
Non solo, la sua uscita di scena è stata seguita da un colpo di scena che ha fatto molto discutere. Al termine della rigenerazione, il Dottore assume le sembianze di Billie Piper, storica interprete di Rose Tyler. Ma il nome dell’attrice non appare nei titoli di coda come The Doctor (come è sempre stato) e la sua introduzione rimane ambigua. Si tratta davvero del Sedicesimo Dottore, o è l’ennesima trovata nostalgica priva di progettualità, per alzare l’attenzione sulla prossima stagione?
Varada Sethu è Belinda Chandra
Il ritorno di Billie Piper, seppur ancora nebuloso, sembra inserirsi in una strategia di recupero del passato che sempre più spesso prende il sopravvento sul desiderio di innovazione. Piper è stata una delle compagne del Dottore più amate di sempre, e la sua uscita dalla serie nel 2006, con l’episodio L’esercito dei fantasmi - parte seconda (Doomsday, Ep.2-13), è considerata ancora oggi uno dei momenti più commoventi dell’intera saga. Da allora è tornata più volte, nella quarta stagione, nello speciale del cinquantenario e ora (forse) nei panni della Dottore.
Questo continuo ripiegamento su figure familiari, anziché creare nuove icone, rivela una mancanza di coraggio creativo. E nella cultura seriale contemporanea, dominata da franchise come Star Wars o Marvel, l’abuso della nostalgia rischia di svuotare le opere della loro forza identitaria (esattamente come è accaduto per Star Wars e Marvel).
Da tempo Doctor Who sembra oscillare tra due spinte contrapposte: il desiderio di guardare avanti e la paura di perdere il proprio zoccolo duro di fan. Dopo l’era Moffat, che aveva portato la serie verso terreni più sperimentali e concettuali, l’arrivo di Chris Chibnall come showrunner (le tre stagioni del Tredicesimo Dottotre) aveva segnato un ritorno alla linearità. Ma la sua gestione aveva sollevato critiche pesanti, specialmente per l’incapacità di dare ai personaggi lo sviluppo che meritavano.
Davies, nel suo secondo mandato, ha tentato di coniugare cuore e spettacolo, ma ha finito per cedere all’ossessione per il revival. Il rischio è quello di trasformare Doctor Who in una serie autoreferenziale, incapace di parlare al presente se non attraverso il riflesso del passato. L’uscita di scena di Gatwa, così precoce e sbrigativa, ne è un sintomo più che evidente. Il Quindicesimo Dottore avrebbe potuto rappresentare un punto di svolta, sia in termini di
rappresentazione che di narrazione. Invece, è stato sacrificato sull’altare della sicurezza produttiva, facendo (pare) un grande passo indietro.</p)
Ncuti Gatwa è il Quindicesimo Dottore
Il ciclo di Ncuti Gatwa avrebbe potuto (e soprattutto dovuto) durare di più. Il suo Dottore meritava almeno una terza stagione pienamente sua, con uno sviluppo coerente e una conclusione degna. Il fatto che ciò non sia accaduto lascia un senso di occasione mancata, di interruzione traumatica.
Doctor Who ha sempre parlato del tempo, di come si viaggia attraverso di esso, di come lo si sfida e lo si rispetta. Ma raramente aveva sbagliato così clamorosamente i tempi della propria storia. La stagione 15 ha rappresentato un’accelerazione priva di respiro, un tentativo di chiudere troppo in fretta una porta che si era appena aperta.
Il futuro resta incerto. Se davvero Billie Piper sarà il prossimo Dottore, la serie dovrà trovare un modo per dare senso a questa scelta senza sprofondare nello sterile fan service. Ma, prima ancora, dovrà imparare a fidarsi delle sue nuove incarnazioni e dare
loro il tempo di crescere.
Perché, dopotutto, il tempo è la sostanza stessa del Dottore e sprecarlo è il peccato più grave.
Ma noi, sappiamo aspettare!
Doctor Who
(Id.)
—
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