Author: Anders Ge.
Non la solita storia di fantascienza catastrofica, ma uno spaventoso thriller ecologico, in cui i ruoli non sono quelli che ci aspettiamo. Un monito terribilmente plausibile su quello a cui potremmo andare in contro.
NB. Il fumetto recensito è attualmente disponibile solo in edizione originale francese.
In Spagna, sui Pirenei, alcuni escursionisti e gli abitanti di un paese cadono morti senza alcun motivo apparente. Théodore è un giovane ambientalista recatosi in Svezia per partecipare ad uno stage con Richard Frawley, un botanico amante dei Doors convinto che gli alberi abbiano la capacità di comunicare tra di loro e che siano anche dotati di una conoscenza scientifica sconosciuta agli esseri umani, teorie e convinzioni che fanno considerare lo studioso una sorta di scienziato pazzo. Gli alberi avrebbero anche la capacità di normalizzare le specie animali che li circondano, qualora la loro proliferazione divenisse troppo elevata, cambiando le proprie caratteristiche chimiche.
Théodore scopre nella foresta uno strano fungo che era stato avvistato in precedenza anche nei pressi del luogo dove erano avvenute le misteriose morti sui Pirenei. Nel laboratorio dello scienziato viene studiato il patrimonio genetico degli alberi nel tentativo di decifrarlo e di capire meglio la loro natura, la storia del nostro pianeta e la loro relazione con essa. Con il passare del tempo, nella mente dei ricercatori comincia a farsi strada la sensazione che, in realtà, non siano loro a studiare le piante, ma che siano le piante ad osservarli. Intanto strani eventi accadono: gli alberi cominciano a secernere una singolare e misteriosa sostanza e comportamenti anomali vengono riscontrati negli animali selvatici.
Questi avvenimenti sono solo un piccolo segno che qualcosa sta accadendo. La fabbrica farmaceutica situata non lontano dal centro ricerche potrebbe essere la responsabile? Frawley rivela a Théodore di essere convinto che, in realtà, sia stata la terra stessa ad aver deciso di estinguere i dinosauri e che quanto sta accadendo potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più grande e minaccioso.
“This is the end, beautiful friend. This is the end, my only friend, the end.”
“Questa è la fine, bellissima amica. Questa è la fine, mia unica amica, la fine.”
[The End – The Doors, “The Doors”, 1967]
Devo essere sincero, ho sempre un po’ di timore quando mi appresto alla lettura di qualcosa che sposa una causa importante come quella ambientalista. Questo perché troppo spesso mi sono ritrovato tra le mani scritti pieni d’inutile moralismo o che affrontano il tema con un taglio fin troppo didattico che, inevitabilmente, tende alla “barbosità” (o peggio, una somma di entrambe le cose).
È quindi con estrema cautela che mi sono apprestato alla lettura di The End, thriller dai toni eco-apocalittici, ultimo lavoro dello svizzero Philippe Chappuis, in arte Zep, già creatore del famosissimo (e diametralmente opposto in ogni suo aspetto) Titeuf, che proprio quest’anno festeggia i suoi venticinque anni.
E la soddisfazione è stata grande nel constatare che l’autore è riuscito a veicolare un messaggio importante con estrema efficacia ed in modo eccellente, senza cadere in nessuno di quegli stereotipi troppo spesso presenti in opere di questo tipo.
Il soggetto che sta alla base della storia raccontata non è particolarmente inedito. In più occasioni, dal cinema alla letteratura, abbiamo avuto modo di assistere alla messa in scena di eventi naturali più o meno catastrofici che mettono in serio pericolo la sopravvivenza dell’essere umano. E The End non si discosta molto da questo plot narrativo.
Quello che differenzia questa storia è il posto dell’uomo nella vicenda.
A differenza di quanto siamo abituati a vedere con le vicende di questo tipo (in modo particolare nei film americani), dove abbiamo un evento scatenante, generalmente causato dall’uomo, che mette in moto una serie di avvenimenti disastrosi, ma che alla fine vengono risolti con l’intervento dell’uomo stesso, qui ci troviamo di fronte ad una visione in cui l’essere umano assurge a ruolo di spettatore e il suo posto nel mondo cambia improvvisamente, passando da quello di padrone a semplice ospite.
Si tratta di una storia di finzione, che però affonda le sue radici su basi scientifiche reali, ampiamente documentate, ed elementi verosimili.
Per la realizzazione del volume l’autore ha lavorato a contatto con Francis Hallé, uno dei massimi esperti di foreste primarie - cioè gli ecosistemi rimasti puri per millenni e che ora sono a rischio di estinzione - su cui ha basato la figura del professor Frawley.
L’ispirazione per la storia viene da un fatto realmente accaduto in Sud Africa, dove alla fine degli anni ottanta circa 3.000 esemplari di Kudu (l’antilope africana) vennero trovati morti nella regione dell’allora Transvaal. Si scoprì che ad ucciderli erano state le foglie dell’albero di Acacia, facente parte da sempre della loro dieta alimentare, che aveva cambiato composizione chimica divenendo così letali, avvelenando gli animali.
Secondo Wouter Van Hoven, zoologo della Pretoria University, le foglie masticate producevano una quantità di tannino (un composto presente nella corteccia di alcune piante) tale da risultare letale per l’antilope. Allo stesso tempo, emettevano etilene che, spostandosi nell’aria per un centinaio di metri, allertava le piante circostanti le quali, nel giro di cinque minuti circa, riuscivano ad incrementare a loro volta la produzione di tannino (studio presentato nei primi anni novanta in Francia e pubblicato sul Journal of Zoology africano).
Anche Paul Caro (1934–2016), scienziato francese del Centre National de Recherche Scientifique (CNRS) nella metà degli anni settanta scoprì che le querce aumentavano la produzione di tannino e fenolo per difendersi dall’attacco dei bruchi, inibendone la crescita ed il proliferare delle larve.
Le piante, quindi, sembrano essere in grado di reagire alla vita di chi le circonda, regolandone l’eventuale eccessivo proliferare che metterebbe a rischio la loro sopravvivenza. Il messaggio che ne deriva è, nella sua semplicità, meraviglioso e terribile al tempo stesso: la natura può difendersi e proteggersi dalle aggressioni.
La natura, sebbene sembri vittima delle nostre (scellerate) decisioni, in realtà potrebbe eliminarci in qualsiasi momento, come è già avvenuto in passato con quelle specie che non sono state in grado di adeguarsi ai suoi cambiamenti o che non sono più risultate necessarie o, ancora — e a maggior ragione -, che sono divenute troppo ingombranti e dannose.
La natura non sarà per sempre nostra amica.
Il titolo dell’album fa riferimento all’omonimo brano dei The Doors, che lo scienziato ascolta di continuo all’interno del suo laboratorio. I continui rimandi alla canzone scandiscono la narrazione come una colonna sonora, che risulta inequivocabile nel suo significato e non lascia spazio a dubbi e fraintendimenti sulla direzione intrapresa, sottolineando la lenta progressione della trama e la sua opprimente atmosfera, che ci porta all’inevitabile conclusione.
Dopo i precedenti Un bruit étrange et beau (Rue de Sèvres, 2016) e Une histoire d’hommes (Rue de Sèvres, 2013) — quest’ultimo edito anche in Italia con il titolo Cose da uomini (Rizzoli/Lizard, 2015) - Zep torna a cimentarsi con una storia ed una narrazione dai contenuti e dallo stile grafico realistici ed estremamente maturi.
L’autore di Titeuf dimostra di trovarsi perfettamente a proprio agio anche in questo contesto narrativo, denotando altresì una crescita esponenziale rispetto al buono, ma in parte deludente, Cose da uomini, costantemente indeciso tra introspezione e leggerezza.
Il tratto è realistico. Lontanissimo dalle sperimentazioni e dai colori a cui ci ha abituato con le sue opere umoristiche, Philippe “Zep” Chappuis utilizza per i suoi disegni una monocromia a base di colori dominanti, che intensificano l’atmosfera delle tavole e le rendono estremamente affascinanti.
Assai distante dalle produzioni che fanno sfoggio di grandi effetti grafici, come se fosse un film indie confrontato con un blockbuster hollywoodiano, ma dotato di una grande forza e di un impatto emotivo non indifferente che lasciano il segno a lungo.
“Nous ne sommes pas les maîtres de la terre, nous en sommes les hôtes.”
“Noi non siamo i padroni della terra, noi siamo i padroni di casa.”
[Zep, parlando di The End durante un’intervista]
The End non è la solita storia di fantascienza con un’imminente catastrofe naturale da sventare. È un viaggio in uno spaventoso thriller ecologico in cui il ruolo della vittima e quello del carnefice non sono quelli che ci aspettiamo.
È un monito che per la sua plausibilità risulta terribile, che ricorda (una volta di più) come l’uomo stia scavando la propria tomba, pronta per quando la Terra sarà stufa delle nostre intemperanze.
The End è una storia costruita in modo ineccepibile. La trama si dipana inarrestabile fino alla sua naturale conclusione, lasciando contemporaneamente il tempo di pensare e meditare a quanto accade al suo interno e intorno a noi.
Una grande lezione, tanto ecologica quanto politica, che fa riflettere su quanto mettiamo in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Ma solo la nostra, perché la terra riuscirà comunque ad andare avanti, tagliando quei rami secchi che la mettono a rischio.
Così è stato in passato e così potrebbe essere (sarà?) in futuro, se non cambieremo.
Prima che sia davvero The End.
Philippe “Zep” Chappuis
“Le meilleur exemple est Tchernobyl, devenue une forêt luxuriante d’où l’Homme a disparu.”
“L’esempio migliore è Chernobyl, diventata una foresta lussureggiante dove l’uomo è scomparso.”
[Zep, parlando di The End durante un’intervista]
The End - ZEP Zep (bande annonce)
The End
Soggetto e disegni: Zep
Rue de Sèvres
cartonato
colore
pag. 88
2018