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Il grande ritratto. Il cyberpunk vent anni prima.

Author: Anders Ge.

Dino Buzzati anticipa il ciberpunk di vent’anni con un romanzo breve che parla di intelligenza artificiale, coscienza, corpo e umanità. Da leggere d’un fiato, ancora oggi Il Grande Ritratto stupisce e fa riflettere.

Dino Buzzati - Ragazza)


Il professor Ermanno Ismani, ordinario di elettronica e la moglie Elisa, vengono invitati dal Ministero della Difesa a partecipare, insieme ad altri scienziati, alla realizzazione di un progetto di fondamentale importanza per la nazione e classificato come top secret. I ricercatori coinvolti nel progetto sono però obbligati ad abitare all’interno della misteriosa Zona 36, una base militare tra le montagne, per una durata di almeno due anni. I due, all’oscuro di quanto avviene all’interno della struttura, si lanciano in molte supposizioni sul reale scopo finale del progetto: la costruzione di una macchina pensante, che riesce ad elaborare qualsiasi cosa, restituendo i risultati in termini matematici e con un lieve bisbiglio, avvertito come una voce di donna.
Endriade, il capo progetto, rivela infatti di aver dato alla macchina la personalità della sua prima moglie Laura, morta insieme al suo amante in un incidente stradale. Lo scienziato afferma di averla creata in base al carattere che la donna aveva in vita, difetti compresi. Lo scienziato spera così di poter riavere l’amata consorte perduta, ma la macchina oltre alla personalità della donna ne serba anche i ricordi, cosa che porterà a conseguenze spiacevoli quanto inaspettate.

Breve romanzo che si lascia leggere tutto d’un fiato, Il grande ritratto (1960) di Dino Buzzati, probabilmente rappresenta una delle prime storie sull’intelligenza artificiale, scritta in un periodo in cui questo termine non era ancora stato inventato (ed abusato), che mette al suo centro il dubbio sulla determinazione di umanità, in assenza di un vero e proprio corpo.
L’argomento dello scritto è la creazione di un’intelligenza artificiale, che il suo ideatore ha concepito infondendogli la personalità di una donna e nella seconda parte, dopo una prima quasi trasparente, il libro ci parla del dramma di un’entità senziente, convinta di essere una donna, senza però averne corpo e percezione e soffrendo per questo. Buzzati pone così la questione della possibilità che un’intelligenza artificiale sviluppi anche una sua propria coscienza e sensibilità artificiale.

Un passo decisamente moderno nel 1960 (anno di pubblicazione del libro) che lo pone in anticipazione di almeno una ventina d’anni - e anche qualcosa di più - di quello che poi diventerà uno dei leitmotiv della cultura e della letteratura cyberpunk.
Altro tema importante ed innovativo per quegli anni, è il ragionare sul pericolo dello sviluppo di una macchina senziente che, come tale, può in perfetta autonomia sviluppare una propria logica, un proprio pensiero, sul come fare le cose”, totalmente avulsi dalla logica e dagli interessi del proprio creatore.
Su tutto c’è lei, Laura, la macchina che prima era una donna, ora bloccata all’interno di meccanismi ed ingranaggi tanto sofisticati quanto imperfetti. Divenuta, nella sua nuova vita artificiale, potenzialmente immortale, deve però sottostare all’impossibilità di avere quella corporeità di cui nutre il ricordo. E quando i ricordi di una vita precedente, fatta di carne, sensi ed umanità, (ri)emergeranno prepotenti, sarà inevitabile l’innescarsi di eventi che porteranno al disperato, quanto tragico finale.
La storia è fantascientifica, ma questo non è il centro primario dell’interesse (giusto un po’ di tecnologia avveniristica per l’epoca - e neanche tanto - e parecchio mistero) rimanendo sospesa in un realismo-fantastico abbastanza angosciante, quasi kafkiano.
All’interno c’è spazio anche (o soprattutto?) per una storia d’amore, egoistico, malato e come tale destinato (forse sarebbe più corretto dire condannato) ad essere perso ancora una volta, così come era già stato prima dell’incidente mortale della donna.
L’atmosfera che permea la storia è un misto di metaforico ed eccentrico, quasi al limite dell’assurdo, realismo e di magnetico disagio, che rendono difficile interrompere la lettura, specialmente nella seconda parte.

Dino Buzzati ha un talento narrativo eccezionale, che può essere messo sullo stesso piano di autori (specialmente) stranieri più blasonati e famosi, senza sfigurare minimamente. In questo romanzo breve si distinguono chiaramente tutte le prerogative del suo stile, fatto di frasi brevi che mettono in primo piano un linguaggio semplice ed amichevole, ma non superficiale, allo stesso tempo chiaro ed inequivocabile, ricco di significati.
Il grande ritratto si muove attraverso spazi diversi tra loro, ma al tempo stesso connessi tra di loro, che abbracciano i sentimenti e le relazioni umane, ma anche l’interconnessione tra l’uomo e la macchina nonché il codice linguistico, che sia esso umano o sintetico. La brevità della storia permette al lettore di venire velocemente a contatto con le tematiche su cui l’autore vuole far riflettere. Tematiche d’anticipazione quando il romanzo fu pubblicato, ma che sono (e restano) ancora oggi estremamente attuali, determinandone l’importanza.
Un breve romanzo che non ci stupiremmo di vedere nella bibliografia di autori più moderni e di genere, come Philip K. Dick o J. G. Ballard, che per certi aspetti angoscianti lo avvicinano allo stile Kafka.
Un piccolo grande gioiello quasi dimenticato di un autore straordinario da scoprire o riscoprire per non dimenticare più.
Ecco, questo è Il grande ritratto.

Sorprendente


Due parole (ma proprio due) su Dino Buzzati

Dino Buzzati

Terzo genito di quattro fratelli, nasce il 16 ottobre 1906 a San Pellegrino di Belluno ma vive a Milano, dove il padre Giulio Cesare Buzzati, celebre giurista, è docente di diritto internazionale presso l’Università Luigi Bocconi, oltre ad insegnare anche presso l’Università di Pavia. Fin da giovanissimo, mostra attenzione e sensibilità per la musica e l’arte pittorica. A dodici anni impara a suonare il violino ed il pianoforte ma, in seguito, ne abbandona lo studio. Dopo il diploma, su volere della famiglia, s’iscrive a giurisprudenza, laureandosi nel 1928.
Lo stesso anno comincia a lavorare presso il Corriere della Sera. Prima come praticante, poi redattore ed in seguito inviato e cronista, attività, quella di giornalista, che praticò con grande successo per tutta la vita.
Nei primi anni degli anni Trenta, comincia anche la sua attività di scrittore e già negli anni precedenti aveva cominciato a dipingere. Durante la Seconda cuerra mondiale, Buzzati fu corrispondente per conto del giornale milanese e, alla fine delle ostilità, prende l’incarico di redattore capo della Domenica del Corriere, dove resterà dal 1950 fino al 1963, anche se è lui a dirigerla a tutti gli effetti, prendendo tutte le decisioni su articoli e produzione del settimanale che, con il suo apporto, raggiungerà tirature eccezionali, andando a superare anche il milione di copie in più di un’occasione.
Bàrnabo delle montagne, del 1933 e Il segreto del Bosco Vecchio, del 1935, sono i primi due libri di Buzzati. Successivamente, sul finire degli anni Trenta, lo scrittore comincia a pubblicare racconti di genere fantastico su alcune testate giornalistiche, specialmente sul Corriere della Sera, i migliori dei quali saranno poi raccolti nel 1942 nel volume antologico I sette messaggeri. Negli anni seguenti si dedicherà principalmente alla scrittura di racconti di genere fantastico. Nel 1940, viene dato alle stampe Il deserto dei Tartari, romanzo che consacrerà definitivamente l’autore come uno dei grandi della letteratura italiana del Novecento. Il libro è un’allegoria sul tempo che passa, sull’uomo che spreca la sua vita a pianificare il domani, in attesa di qualcosa che non arriverà mai e l’unica certezza è solo che, presto o tardi, arriverà la morte.
Grande importanza per lo scrittore ricopre anche la pittura, tanto che ebbe a dichiarare che «Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista». Già negli anni Venti si cimenta con la pittura, ma il grande pubblico potrà ammirare la sua arte nel 1945, con la pubblicazione del libro per ragazzi La famosa invasione degli orsi in Sicilia, per il quale realizza parecchie illustrazioni a colori.
Buzzati, che definisce le sue opere come «storie dipinte», sono un’estensione di quanto si trova nei suoi scritti, ai quali fanno forte riferimento per atmosfere e tematiche. Le tele sono spesso divise in riquadri come fossero vignette in una pagina di un fumetto, con tanto di scritte, come se fossero un racconto diviso in momenti precisi. Il suo stile ricorda il surrealismo ed il simbolismo, ispirandosi ad artisti come De Chirico e le illustrazioni di Arthur Rackmhan
Nel 1969 pubblica Poema a fumetti che, con 208 tavole a colori disegnate dall’autore, rielabora in chiave moderna il mito di Orfeo ed Euridice. Pubblicata da Mondadori è un’opera seminale e di grande successo editoriale, premiata con il premio Paese Sera nel 1970. Considerata una delle prime graphic novel pubblicate e la prima italiana, con uno stile fortemente all’avanguardia e dalla forte componente erotica, unisce illustrazione e narrativa, spiazzando molta critica dell’epoca e a molti parve non coerente con la produzione precedente dell’autore veneto.
Già in precedenza, il romanzo Un amore (1963), in cui Buzzati parla dell’amore di un uomo maturo per una giovane ragazza, genera parecchio clamore e molte discussioni.
L’arte dell’artista bellunese è caratterizzata dall’uso del surreale e del fantastico per rappresentare le sofferenze, l’inquietudine e le ansie dell’uomo. Per evidenziare quanto misteriosa sia la sua quotidianità. Come ben evidenziato nel suo Deserto dei Tartari, l’uomo che cerca di allontanarsi il più possibile dalle proprie paure esistenziali, privandosi così della possibilità di vivere una vita piena, beandosi di ciò che ci offre e rimando inerti nell’attesa dell’ineluttabile fine.

Nel 1971, comincia ad avere i primi sintomi della malattia che, nel dicembre dello stesso anno lo porterà in ospedale e il successivo 28 gennaio 1972, alla morte per un tumore al pancreas.


Il grande ritratto (cover)

Il grande ritratto

Dino Buzzati

Mondadori
Oscar


tascabile
brossurato
pag. 204
1960
(prima edizione)


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